Prosegue la missione umanitaria dei medici dell’Associazione polacca dell’Ordine di Malta, presenti in Georgia fin dal 14 agosto scorso, ed operativa nei campi profughi sia nella città di Tiblisi che di Gori. In quest’ultima città è stato installato sin dall’inizio, un ambulatorio medico, unico presidio sanitario per i circa 1700 profughi.
Il Prof. Marcello Celestini, Ministro Consigliere dell’Ambasciata dell’Ordine a Tiblisi di ritorno dalla Georgia dove ha provveduto a donare medicine, viveri e generi di prima necessità, ha rilasciato un’intervista a Marco Bellizi per l’Osservatore Romano che pubblichiamo qui di seguito.
ALLARME INFANZIA TRA I PROFUGHI DELLA GEORGIA
di Marco Bellizi
In Georgia servono psicologi e psichiatri in grado di intervenire sui bambini costretti a fuggire dalle loro case a seguito degli eventi bellici. E serve l’intervento urgente dell’Europa, perché la situazione è ancora fluida. E tutto può accadere. È l’appello che Marcello Celestini, incaricato d’affari in Georgia del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di Malta (Smom), rivolge ai medici italiani e a chi ha la responsabilità di attivarsi affinché le popolazioni locali siano messe in condizioni di sicurezza. Celestini, medico fisiatra, è appena tornato dalla Georgia, dove si è recato per prendere visione delle attività in particolare dell’associazione polacca dell’Ordine, presente in Georgia dal 14 di agosto. E per verificare le necessità dei profughi. “L’Ordine – spiega Celestini – non ha preso posizione in questo conflitto, la neutralità è importante per noi, ma è chiaro che è estremamente attento a tutti i grandi eventi che necessitano un intervento umanitario, eventi bellici o catastrofi naturali”.
Qual è il bilancio fino a questo momento dell’intervento in Georgia?
Sono stato colpito dall’organizzazione di questo gruppo di cavalieri polacchi dell’Ordine di Malta, composto da un coordinatore, il sacerdote Henrik Blaszczyh, e da quattro medici che sono arrivati tempestivamente. Hanno fissato la loro sede nell’ambasciata in Georgia, e da lì hanno messo a punto le loro attività a favore dei profughi che arrivavano dall’Ossezia e da Gori, occupata per diversi giorni dai russi. I profughi non avevano nulla, pochi vestiti addosso, erano arrivati a piedi, e si rifugiavano in quartieri periferici di Tbilisi, come quello di Isani. Si tratta di profughi che si sentono georgiani e che sono scappati dopo l’occupazione russa. Oggi non sono più 130.000 come nei primi giorni, in quanto, liberata Gori, diversi hanno fatto ritorno a casa. Ne rimangono però ancora molti – il numero è imprecisato – che provengono dall’Ossezia e dalle zone ancora occupate dai russi. Sono bisognosi di tutto.
Attualmente quali sono le principali emergenze sanitarie?
Si tratta principalmente di patologie respiratorie, da raffreddamento, e, nei bambini, di parassitosi. Poi gli choc psicologici, derivanti dal trauma dell’abbandono delle case, ma soprattutto dai bombardamenti, dalla distruzione. Ho avuto dei contatti con l’associazione dei giovani medici georgiani i quali mi pregano di fare appello all’Italia perché manca personale medico specializzato in psicologia e psichiatria dell’età evolutiva. Sarebbe utile l’arrivo di volontari”.
Qual è lo stato generale della popolazione in fuga dalla guerra?
Devo dire che la dignità che ho osservato visitando quasi tutti i campi profughi è esemplare. I profughi non hanno nulla ma stanno solidarizzando fra loro cercando di aiutarsi l’uno con l’altro. La gestione degli aiuti umanitari è affidata alla Caritas, la quale è molto ben organizzata e radicata nel territorio con numerosi volontari che vanno a verificare le reali necessità. In Georgia non ci sono materassi, brandine, sacchi a pelo, lenzuola, asciugamani, bacinelle, saponi, detersivi, dentifricio. I piatti e i bicchieri sono particolarmente richiesti. E poi naturalmente i farmaci, che devo dire i Cavalieri polacchi stanno distribuendo efficacemente. C’è richiesta anche di materassi ad acqua per evitare le piaghe da decubito. L’intervento dello Smom è stato capillare. Gli inviati sono andati a colloquiare con i rappresentanti dei campi profughi per presentarsi, per rassicurali, per dire che andavano lì per aiutarli, per visitarli. I primi giorni hanno visitato 150 persone a campo, mano a mano le visite si sono ridotte a 10, 15 a campo al giorno. Quindi è stata un’operazione portata a termine con una professionalità riconosciuta da tutti, anche dal viceministro georgiano istituito ad hoc proprio per l’emergenza profughi. Molto significativa è stata in particolare la presenza a Gori, nella grande tendopoli allestita dopo la fine dell’occupazione dei russi e in tutti gli asili della città. Sono stati assoldati dei pediatri locali per l’assistenza ai bambini. È stato un servizio molto utile, mentre la Croce rossa italiana si occupava di assicurare principalmente i pasti, circa 9.000 al giorno.
Che giudizio dà degli aiuti internazionali?
Il lavoro svolto da Alessandra Morelli, capo équipe senior delle Nazioni Unite, che aveva la responsabilità del campo profughi di Gori, del controllo e della sua sicurezza, è veramente apprezzabile. Perché lì è presente il pericolo dell’alcolismo, negli uomini e nei giovani, e perciò andava considerato anche questo aspetto. Molto importante è anche la presenza nella tendopoli di una cappella ortodossa dove ogni giorno celebra un sacerdote. Bisogna tenere conto che a quattro chilometri ci sono ancora i check point russi, con un controschieramento georgiano molto imponente. Non c’è un corridoio umanitario. Passa soltanto il vescovo ortodosso di Gori che è l’unico autorizzato a portare aiuti. Ma a oggi né le Nazioni Unite né altre organizzazioni vengono lasciate passare.
Gli aiuti sono stati celeri?
Sono stati celeri e adesso massicci. Abbiamo ricevuto un aereo del presidente della Repubblica polacca fornitissimo. Il pericolo è ora gestire gli aiuti in maniera oculata e razionale. È un momento di grande fluidità. Non è ancora molto chiara l’evoluzione di questo conflitto, anche se la diplomazia internazionale si è mossa molto bene. Aspettiamo però l’arrivo delle forze europee.
Ha avuto notizie di maltrattamenti o vessazioni subìti dalla popolazione?
Direttamente no. Sicuramente nell’area bellica ci sono state azioni di un certo tipo. Mi è stato riferito che fino a due settimane dopo lo scoppio della guerra c’erano cadaveri abbandonati che sono stati bruciati nei forni per il pane. Il rispetto della salme è sicuramente venuto meno. Però mi risulta anche che, quando Gori era occupata, un convoglio umanitario della Caritas è riuscito a passare e il pane è stato distribuito sia alla popolazione sia ai soldati russi e georgiani. Forse le forze militari sono più ben disposte che i vertici militari, come spesso accade in questi casi.
Com’è il rapporto con la popolazione, che è in gran parte ortodossa?
Il capo missione, padre Henrik, insieme con il medico chirurgo, hanno avuto un approccio estremamente delicato e intelligente con i gruppi di profughi della città di Tbilisi. Hanno fatto capire che la loro presenza era di aiuto sanitario. E questo atteggiamento sorridente è stato ben accolto dai profughi, soprattutto dai capi. La missione umanitaria è finita ieri, lasciando una testimonianza forte dello spirito e del carisma dell’Ordine. Noi ci riportiamo a casa il ringraziamento delle persone che hanno visto nella croce ottagona dell’Ordine un simbolo di umanità e di rispetto per i poveri. Tuitio fidei et obsequium pauperum, come recita il nostro motto.
(©L’Osservatore Romano 13 settembre 2008)