Intervista con la Dottoressa Marie Benner, esperta in Sanità pubblica del Malteser International.
L’attuale focolaio di Ebola ha già causato 5.000 morti ed il numero di nuove infezioni continua ad aumentare. Che cosa rende questo virus così difficile da bloccare?
Per ora non esiste un vaccino contro il virus dell’Ebola (quanto meno uno che sia approvato per la distribuzione di massa). L’unica cosa che possiamo fare è curare i sintomi. È per questo che l’epidemia si sta diffondendo ad un ritmo che nessuno avrebbe potuto prevedere. Attualmente, metà delle persone che contraggono il virus non sopravvivono. Tuttavia, se i test dell’attuale vaccino sperimentale saranno positivi, l’OMS ha comunicato che un primo lotto sarà disponibile per l’invio in Africa occidentale a gennaio.
I paesi dell’Africa occidentale più colpiti sono Liberia, Guinea e Sierra Leone. Che impatto ha l’Ebola sui sistemi sociali di questi paesi?
L’Ebola ha colpito una regione la cui popolazione è afflitta da grande povertà e dalle conseguenze di un lungo conflitto armato. Ora l’economia ed i servizi sociali in questi paesi stanno collassando. I campi vengono trascurati, perchè molti agricoltori sono malati; le scuole sono chiuse perchè gli insegnanti non possono fare lezione; le strutture familiari stanno crollando. La paura del virus sta seminando panico nella popolazione, numerose famiglie sono sconvolte per la morte di familiari ed amici. I confini con le regioni infettate sono stati in pratica tutti chiusi, quindi il commercio normale si è interrotto; i prezzi dei prodotti alimentari stanno aumentando. Le agenzie dell’ONU, come il Programma Alimentare Mondiale, hanno messo in guardia che l’epidemia costituirà una minaccia di lunga durata per la vita delle persone nelle zone colpite. Data la sua eccezionale estensione, questa epidemia non può più essere gestita individualmente da parte di singole agenzie. È per questo motivo che facciamo appello alle organizzazioni di soccorso affinchè uniscano le loro competenze e tutte le risorse disponibili per combattere insieme questo virus. Si tratta di una sfida rilevante per la comunità internazionale.
Persino negli ospedali dei paesi sviluppati, le infermiere vengono infettate, malgrado le rigorose misure di precauzione previste. Com’è possibile?
Il virus dell’Ebola si trasmette tramite contatto diretto con il sangue o altri fluidi corporei quali sudore, saliva, feci o urina. Anche un minimo errore nel togliersi gli indumenti di protezione comporta un altissimo rischio di infezione: dopo il contatto con un paziente affetto da Ebola, il virus presente sull’indumento di protezione dell’infermiere può entrare direttamente nel suo sangue attraverso una piccola escoriazione o penetrare nelle membrane delle mucose toccandosi naso, occhi o bocca senza accorgesene.
In Africa occidentale, nelle regioni colpite, il personale infermieristico sta lavorando in condizioni climatiche molto diverse e con un’attrezzatura essenziale. Quali sono le principali sfide per coloro che forniscono assistenza in questi paesi? Cosa manca loro in particolare?
Vorrei innanzitutto esprimere la mia massima ammirazione per tutti questi cooperanti ed assistenti. Lavorano in condizioni difficili, in un clima tropicale con temperature e tassi di umidità molto alti. È quasi impossibile indossare per più di due ore un abbigliamento che limita i movimenti. A questo si aggiunge l’enorme pressione psicologica: la paura di venire infettati, il timore di commettere uno sbaglio, ad esempio, nel togliersi l’abbigliamento protettivo. Questi cooperanti e volontari meriterebbero un premio per il loro impegno! In questo contesto, non dobbiamo dimenticare che i sistemi sanitari in questi paesi sono limitati, hanno infrastrutture superate; anche in situazioni normali, raramente sono in grado di soddisfare le esigenze di un’assistenza sanitaria di base. In questa contingenza, le carenze del sistema sanitario sono ancora più evidenti: il personale sanitario è privo di abbigliamento di protezione e non ha alcuna formazione per affrontare l’Ebola, ad esempio, come indossare e togliere correttamente gli indumenti di protezione, operazione non facile.
L’OMS ha annunciato che un vaccino contro l’Ebola potrà essere disponibile non prima di gennaio 2015. Che strategia si può adottare adesso per arginare l’epidemia?
Come per la maggior parte delle malattie infettive, le condizioni essenziali per controllare l’epidemia sono la diagnosi precoce, la cura e nel caso dell’Ebola anche l’isolamento dei pazienti. Tutte le persone che sono entrate in contatto con pazienti di Ebola devono inoltre essere individuate, sottoposte ad analisi e, se necessario, isolate per evitare che possano infettare altre persone. Tale strategia – che comprende diagnosi precoce, cura ed isolamento – è stata efficace in precedenti epidemie di Ebola e, nel caso della Guinea, il numero di decessi è diminuito in misura consistente, passando dal 90 al 40% .
Quali sono, a suo avviso, le misure più urgenti da adottare?
In primo luogo, è necessario poter fornire un’attrezzatura di protezione adeguata ed una buona formazione al personale sanitario. È fondamentale che i volontari ed i cooperanti ricevano la necessaria assistenza morale e psicologica. E’ urgente predisporre altri centri per il trattamento dell’Ebola, un numero sufficiente di laboratori e di personale qualificato per la diagnosi precoce ed il trattamento. Speriamo inoltre che il test rapido dell’Ebola sia disponibile a breve. Acqua potabile, attrezzature sanitarie e supporto logistico sono altresì indispensabili. Più a lungo termine, i paesi coinvolti avranno anche bisogno di assistenza per creare un efficace sistema sanitario di base.
L’Ebola produce un impatto non solo sui sistemi sanitari dei paesi colpiti, ma ha avuto anche importanti implicazioni sociali. Quali sono le misure di sostegno necessarie in questa situazione?
E’ vero, l’epidemia provoca conseguenze di grande portata anche sull’economia, la sicurezza e la stabilità dei paesi interessati. Proprio per questo motivo dobbiamo fare in modo che la popolazione abbia sufficienti prodotti alimentari, tenendo conto che pur essendo questo il periodo del raccolto, in molte località manca chi possa occuparsene. Gli agricoltori hanno bisogno di aiuto per pianificare la prossima stagione di semina, tra marzo e maggio dell’anno prossimo. A medio e lungo termine ci vorranno più aiuti alimentari in questi paesi.
Attualmente, il virus Ebola monopolizza i media mondiali. Dopo i casi a Dallas e Madrid, il virus sembra essere più vicino a noi ed in Occidente, si teme un possibile contagio. Perchè il volume delle donazioni è ancora così limitato?
Suppongo che ciò sia dovuto da un lato allo svilupparsi della crisi in questo momento. Dall’altro, molti pensano che spetti alle autorità sanitarie locali di controllare l’epidemia con mezzi propri. Malgrado tutto, occorre essere realisti ed evitare allarmismi. La maggioranza dei casi di Ebola è in Africa Occidentale ed è là che le persone hanno un disperato bisogno del nostro aiuto!
Che cosa sta facendo Malteser International per combattere l’Ebola?
Non disponiamo di strutture e nostro personale nelle zone interessate. Offriamo il nostro aiuto tramite la rete internazionale dell’Ordine di Malta, ad esempio tramite Ordre de Malte France che opera da anni in Guinea e in Liberia. Inoltre, come membri della Coalizione Tedesca di Soccorso, stiamo programmando di creare una taskforce comune con altre organizzazioni associate. In questa situazione, una sola organizzazione non può fare più di tanto, vista la complessità della crisi. Essendo la nostra organizzazione specializzata in questioni sanitarie, siamo in condizione di fornire sostegno per la creazione di un laboratorio, fare test rapidi dell’Ebola o campagne di vaccinazione nelle regioni colpite, adottando misure preventive quali la formazione e le attrezzature di protezione per il personale sanitario locale. Ma solo per il laboratorio abbiamo bisogno di mezzo milione di dollari circa; una singola tuta di protezione costa intorno agli 80$. Per assistere un solo paziente di Ebola nelle 24 ore, un’infermiera ha bisogno di ben 12 tute di protezione al giorno.
Quali sono le sfide che le agenzie umanitarie devono affrontare in questa situazione? E quali sono le possibili soluzioni?
I protagonisti devono superare gli individualismi, unire le forze e agire insieme e subito! Il tempo è poco perchè senza dei provvedimenti urgenti, il numero di casi di Ebola potrebbe passare dai 9.000 attuali a centinaia di migliaia entro la fine di gennaio 2015, nel peggiore dei casi, fino a 1.4 milioni, secondo il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle malattie di Atlanta. Questo dato dovrebbe essere sufficiente per incoraggiare chi è responsabile ad impedire una catastrofe ben peggiore. A tal fine, le agenzie hanno bisogno di ricevere fondi ed il personale necessari. Per un centro di cura dell’Ebola con 100 letti, occorrono circa 200-250 persone. Questo dimostra quanto sia impegnativo e oneroso questo lavoro.
In che modo Malteser International prepara il suo personale?
Attualmente Malteser International non ha personale nei paesi interessati dell’Africa occidentale. Comunque, il nostro personale, prima di venire inviato, deve seguire corsi di formazione approfonditi. In altri paesi dell’Africa come la Repubblica Democratica del Congo, dove Malteser International opera da molti anni e dove si sono verificati casi di Ebola in passato, abbiamo attivato subito le misure di protezione e posto in essere attività di formazione per il nostro personale.
Il tempo a disposizione è poco e vorrei aiutare. Cosa si può fare individualmente per aiutare a fermare l’epidemia?
Rivolgiamo il nostro appello a tutti coloro che possono aiutare, cittadini, società, parrocchie e scuole, aiutate l’Africa occidentale con una donazione!
(Intervista: Petra Ipp-Zavazal/Joice Biazoto, Ottobre 2014, Foto: Frank Lütke)